Sicilia, Attraverso l'Italia. Illustrazione delle regioni italiane.
10 CHI SIAMO: GLI SCRITTORI SICILIANI RACCONTANO
“Un’isola non abbastanza isola: in questa contraddizione è contenuto il tema storico della Sicilia, la sua sostanza vitale. […] Questa vicenda e caratteristica geologica è l’abbozzo del destino umano della Sicilia, il suo nec tecum nec sine te vivere possum.
Ai Greci, abitatori di isole frammentarie e di magre penisole, [la Sicilia] dovette apparire un continente: nelle ristrette proporzioni del mondo antico preromano, una specie di America ai colonizzatori migranti verso l’ovest. […].
E’ facile immaginare una Sicilia antica diversa agli occhi da quella ch’è oggi.
Uguale, nonostante gli spostamenti dei crateri e le diverse culture agricole, era la vista generale dell’Etna, ispiratrice da lontano a Pindaro di alcuni fra i suoi superbi accenti: l’Etna dai fianchi riccamente terrestri e dalla cima divina. […] Uguale la sagoma di tutta la riva fino allo Stretto, e giù fino alla foce dell’Anapo e oltre; e anche allora, come ora, sotto quella grazia e maestà, sotto il verdazzurro del mare e delle stagioni covavano le devastazioni vulcaniche e le tempeste sismiche. Come i Germani tra i fuochi e i ghiacci della misteriosa Islanda, così i Greci posero in questa terra grandiosa, già incombente con una sua particolare sublimità sulla geografia dell’Odissea, alcuni fra i temi più patetici e terribili della loro religione, e quella religione, quei miti, divennero siciliani; Polifemo, Aci Galatea, Scilla, Cariddi, Aretusa, i simboli mostruosi e i simboli soavi, composti in un accordo estremamente sentimentale, furono nomi indigeni a questa riva del Ionio. Il bellissimo vulcano, sotto cui giacevano i titani sconfitti, fu una specie di Olimpo infernale, romantico. Il suo senso, la sua suggestione, non son mutati da allora.
Ma certo le foreste all’interno erano più numerose e più fitte, i fiumi più ricchi d’acqua; lo stupore della natura primitiva era diverso dalla desolazione che poi in molti luoghi si diffuse con la tristezza della zolfatara, i veleni della malaria, e l’usura del latifondo. E tuttavia qualche cosa di splendido appartiene a epoche relativamente recenti; l’èra arcaica non conobbe quella meravigliosa cintura da giardino delle Esperidi, quei verzieri scuri e lucenti di aranci e limoni, che oggi sulla costa settentrionale e sulla orientale, su quelle cioè che presentano il volto della Sicilia allo straniero, sono il tratto più suo. Antico era l’olivo; ma queste piante lussureggianti, e la stessa ágave, e lo stesso fico d’India, a cui il paesaggio siciliano deve quell’accento semitropicale che le sembra connaturato da ogni tempo, non vi furono introdotti che al principio dell’èra volgare.”1
1 Giuseppe Antonio Borgese, in Sicilia, Attraverso l’Italia. Illustrazione delle regioni italiane, Touring Club Italiano, Milano 1933.
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